Le abitudini sono sia individuali che collettive, si riferiscono cioè ai comportamenti ripetitivi e alle consuetudini che, automaticamente senza neanche farci caso, scandiscono la nostra vita privata e sociale.

Nelle aziende o nelle organizzazioni derivano dalla somma degli schemi abituali dei singoli che ci lavorano oltre ai processi e ai sistemi che si sovrappongono in virtù degli scopi e degli obiettivi stabiliti per l‘impresa.

Per modificare un’abitudine è necessaria una decisione: identificare i segnali e le gratificazioni che guidano le routine e trovare delle alternative tanto più appetibili quanto in linea con le nuove rotte delineate, perché fondamentalmente il nostro cervello è pigro e sceglie e decide per l’opzione che richiede il minore sforzo sia intellettuale che fisico. Ecco perché le nostre agende sono pieni di buoni propositi mai attuati e di “farò” mai concretizzati.

Anche nelle aziende si constata un ripetersi di usanze e consuetudini desuete, a volte anche nei rapporti interpersonali che creano malumori e rallentano lo sviluppo e l’ottimizzazione dei processi; la fatidica frase “si è sempre fatto così” è il miglior scudo per contrastare il cambiamento e aggrapparsi ad un passato che non esiste più ma la cui mitizzazione rassicura ancora i conservatori e i detrattori dell’innovazione che hanno nelle loro paure e preoccupazioni l’abitudine più perniciosa.

Una volta chiarito che possiamo modificare le abitudini come i comportamenti non più funzionali abbiamo la libertà e la responsabilità di delineare nuovi scenari e modelli con la consapevolezza che dureranno fin quando saranno utili e che nessuna persona o nessun processo è immutato e insostituibile.

Come sempre l’unico ingrediente basilare per riuscirci è la volontà di credere che sia possibile, avere fiducia nel cambiamento e guardare al futuro con atteggiamento positivo e ottimista.

Un’abitudine è qualcosa che puoi fare senza pensare, il che spiega perché molti di noi ne hanno così tante. (Frank A. Clark)